Uno sguardo al domani: il Partito Democratico che verrà

Quale partito e in che modo verranno affrontate le sfide del 2017? Questo il tema al centro dell’incontro di venerdì 10 gennaio con l’Onorevole Paolo Cova. Un tema che si impone anche alla luce del non felice risultato referendario dello scorso 4 dicembre e delle inevitabili conseguenze. La sconfitta, infatti, non può che essere uno spunto per ripensare la natura e l’azione del PD, in una fase in cui populismo fa la “voce grossa” nello scenario della politica internazionale.

Tuttavia, seppur è necessario fare questa riflessione, l’On. Cova ci ha invitato a considerare un tratto peculiare del nostro Partito: la pluralità. Il PD, si sa, è il frutto dell’unione di diverse sensibilità, diversi percorsi e diverse storie, che nel 2007 hanno deciso di mettere da parte le divergenze per concentrarsi su punti e interessi comuni, creando un punto di riferimento per i moderati e non della sinistra in Italia. Ma a distanza di quasi 10 anni non sempre si ha la sensazione di avere una visione ed un metodo politico comune.

Su questo punto, l’On. Cova è stato molto chiaro e diretto: la politica serve per decidere, per fare delle scelte. Il ruolo affidato ai politici, a qualsiasi livello, è quello di compiere decisioni volte al bene comune, possibilmente con un orizzonte temporale il più ampio possibile. Se la politica dovesse abdicare a questo suo compito fondamentalmente, verrebbe meno il motivo d’essere della politica stessa.

Cosa serve alla politica ad un partito per fare le giuste scelte? Autorevolezza, onestà, sobrietà, trasparenza capacità di decidere e sostenere le decisioni. E all’interno di un partito plurale come il PD come si prendono le decisioni? Che regole darsi se quelle adottate non vengono rispettate? E se il metodo della maggioranza (che non è sinonimo di giustizia) non funziona … a che santo votarsi?

Domanda centrale per un partito che ambisce a governare sfide sempre più pressanti: lavoro, disuguaglianze sociali, il futuro dei giovani, immigrazione ….

E’ proprio sul tema del lavoro e della povertà ovvero del farsi carico delle sofferenze che il dibattito al circolo si fa forte anche per la presenza di alcuni lavoratori della Bitron che, raccontandoci la loro esperienza e la loro difficile situazione con scarse prospettive di crescita e futuro, chiedono alla politica scelte che aiutino a tenere il lavoro in Italia.

Ma esiste una capacità di analisi critica ed autocritica rispetto alle politiche intraprese? O il parlare per luoghi comuni e slogan la fa sempre più da padrone? E’ necessario ripartire dalla base, dai circoli. Dagli iscritti e dai simpatizzanti. Ascolto, coinvolgere nelle decisioni,trasmettere le informazioni solo così si può sperare di avere una cittadinanza sempre più formata ed attiva.

E’ questa in sintesi la sfida del futuro che il Partiro Democratico deve saper interpretare

1 thought on “Uno sguardo al domani: il Partito Democratico che verrà”

  • Sento il dovere morale di esprimere il mio parere riguardo la situazione che si è venuta a creare per il lavoro e che a mio avviso da troppo tempo evidenzia criticità e prospettive alquanto incerte soprattutto per i giovani. Ciò che mi ha colpito dalla crisi del 2008 è che nessuno ha mai cercato di mettere attorno ad un tavolo i protagonisti di questa vicenda (Istituzioni, Sindacati e Industriali) per cercare di analizzare le motivazioni delle criticità del mercato italiano del lavoro per adottare le indispensabili proposte di cambiamento del sistema. Mi sembra che, invece di analizzare cosa bisognava cambiare per rendere il mercato italiano del lavoro competitivo verso l’Europa e affrontare le sfide della globalizzazione emergenti, ciascuno di questi protagonisti sia andato per la sua strada. Politicamente abbiamo fatto la riforma del lavoro (Job’s act) che se da un lato è servita a incrementare i contratti a tempo indeterminato, dall’altro ha spianato la strada agli industriali disonesti per licenziare a tutto spiano in un contesto che ha visto i sindacati perdere iscritti e credibilità (si limitano solo a salvare il salvabile) perché disuniti anche sotto l’aspetto politico. Mi sembra ad esempio che sotto questo aspetto la Germania abbia invece coinvolto tutti questi protagonisti sotto la regia di un governo stabile e autorevole che ha adottato misure precise e autorevoli attutendo i sintomi negativi della recessione. L’Italia nel 2008 era preoccupata del Bunga-Bunga e dello spread che continuava a salire fino ad arrivare al disastro politico del 2011, anno nel quale, anziché andare al voto per spazzare le destre che avevano causato la crisi e fare riforme, abbiamo “obbedito” all’Europa facendo riforme pasticciate (vedi la Fornero) spacciandole come strutturali e che invece si sono rivelate il classico brodino. Rammento che tutti i punti della legge di stabilità del governo Monti (pensioni, IVA, accise, IMU ecc.) erano finalizzati esclusivamente al’abbattimento del debito pubblico. Oggi la legge Fornero ha prodotto l’incremento della disoccupazione giovanile al 40% (blocco del turn-over di che aveva 40 anni di contributi), l’espulsione degli ultra cinquantenni senza paracadute (si devono pagare i contributi) e il debito pubblico continua a salire. Penso sia giunto il momento di fare scelte più sociali e di sinistra anziché continuare a dare soldi a fondo perso agli industriali che si dimostrano senza scrupoli e incapaci di fare impresa. Occorre applicare sanzioni pesanti per chi delocalizza e licenzia in modo scellerato e ripristinare il falso in bilancio per mandare in galera coloro che si sono arricchiti sulla pelle della povera gente e dello stato e che hanno svuotato le casse dell’inps abusando di ammortizzatori sociali e non pagando contributi e liquidazioni per fallimenti fasulli. Una sinistra forte deve essere in grado di proporre riforme che sappiano cambiare il mercato del lavoro senza penalizzare i lavoratori (come sta avvenendo ora). Nel 1993 la sinistra, per superare la crisi di allora, accettò di sacrificare la scala mobile e mi sembra che i risultati si siano visti. Bisogna tornare alla concertazione fra un governo stabile e autorevole con sindacati uniti che tornino a rappresentare i lavoratori e con industriali seri ai quali mettere paletti che non possano essere bypassati! Nel riesame del problema lavoro occorre anche inserire l’analisi dei costi della macchina pubblica, perché non è più sostenibile il debito pubblico che abbiamo in quanto limita la crescita, privilegia le generazioni attuali limitando gli spazi di quelle future. Per rilanciare questo paese occorre che tutti abbiamo il coraggio di fare un passo indietro per dare dignità ad ogni persona. Grazie.

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